La più grande festa mai avvenuta
Alice era un maschiaccio. Quando avevo otto anni la vedevo giocare sempre nel cortile in parte a quello di casa mia, ma non ci parlavamo mai. Io avrei tanto voluto chiamarla per giocarci assieme, perché quel suo modo di vestirsi come noi ragazzi, con quei suoi shorts che arrivavano sopra al ginocchio e quelle magliette che tutto facevano pensare fuorché ad una bambina, mi faceva incuriosire ogni volta che la vedevo. Che si trattasse di costruzioni, o di altri giocattoli adatti più a noi maschi, vederla là fuori era uno spettacolo, anche se non sempre riuscivo a capire con che stato d’animo lei fosse sempre lì a giocare.
Nelle giornate di sole, dove il cielo azzurro stava così bene con il verde delle colline sembrava davvero così felice di stare nel suo mondo. Altre volte invece, quando a casa sua si sentiva urlare, lei preferiva giocare anche sotto alla pioggia battente; magari proprio nella pioggia le sue lacrime si vedevano meno, forse.
Di quei giorni in particolare, mentre la guardavo dalla finestra, ero sicuro che sotto alla pioggia lei stesse meglio che a casa.
Del resto, anche lei come me era diventata una delle tante storie del condominio dove abitavamo, visto che anche a casa mia non c’era mai stata una maniera di parlare civilmente riconosciuta quando i miei tendevano a sbranarsi, e quelle pareti erano sempre troppo sottili perché tutti non sapessero tutto.
Ho sempre pensato che ad Alice fosse andata peggio che a me. Nonostante i suoi quattro anni in più, lei sembrava avere gli occhi di una bambina che era cresciuta vedendo troppe cose, e sempre stata costretta a tenersi tutto dentro.
Ecco perché, quell'anno, per il mio nono compleanno, io la invitai alla mia festa.
Forse inconsapevolmente sapevo di avere qualcosa da darle, o da dirle; anche fosse stato solo un sorriso, oltre che alla fetta di torta che le spettava, scriverle quelle poche righe di invito con la mia grafia improbabile ed infilarle di nascosto nella sua buca delle lettere fu un gesto coraggioso quasi dovuto alla mia "sconosciuta preferita".
Nella mia testa di romantico sognatore già vedevo il giorno della festa lei entrare nel mio cortile di casa con un bel vestito bianco a pois neri, sorridendomi e dandomi il mio regalo. Sarebbe stato davvero bello per entrambi passare una giornata insieme senza i problemi delle nostre famiglie, semplicemente ridendo delle cose stupide di quando non hai ancora scoperto le ragazze, o i ragazzi nel suo caso.
Era davvero bello immaginarci con gli altri miei amici a ridere e giocare tutti assieme. Alle volte mi soffermo a pensare che la speranza di averla alla mia festa sarebbe stato il regalo più bello. Avrebbe coinciso con l’inizio di una nuova amicizia, di quelle destinate a durare per tanto tempo. E da quel giorno io ed Alice non avremo mai più giocato da soli.
Quel giorno però non arrivò mai.
E come uno di quei film in cui all’improvviso la bella giornata si rannuvola e comincia a piovere, quella festa non mi parve la stessa quando capii che lei non sarebbe arrivata.
Ma non fu la sua mancanza a farmi preoccupare; quello che mi fece capire che qualcosa non andava, fu che quel giorno la mia amica immaginaria non uscì nemmeno a giocare in giardino, e non l’avrei mai più rivista nemmeno i giorni seguenti.
Quando poi qualche settimana dopo che la casa dove lei abitava era in vendita, capii che forse non ci saremo mai più rivisti.
Anche io poi negli anni andai via di lì, facendomi una vita mia.
Ma ho sempre saputo che prima o poi io avrei visto Alice. Perchè certe cose sono semplicemente destinate ad accadere. Sono semplicemente parentesi che restano aperte in attesa del momento giusto.
E quel momento poi è arrivato davvero; é stato bello rincrociarla poco tempo fa, per le strade della mia città così distante da quella casa ormai sepolta nei recessi polverosi della mia mente. è stato quasi naturale riconoscerla, nonostante gli anni passati, nonostante quegli occhi di chi non ha mai smesso di soffrire. È stato incredibile constatare come i tasselli della vita di ognuno di noi trovino il loro posto, ad un certo punto.
Ma la cosa veramente bella è stata il suo invito nella sua nuova casa, la sera stessa in cui entrambi abbiamo capito che avevamo così tanto tempo da recuperare.
Qualcuno un giorno mi ha detto che la vita non smette mai di stupire; e quella sera fu proprio così. Riscoprirci, raccontarci per tutta la notte fino a perderci l’uno negli occhi dell’altra, il dormire insieme, il ritrovarci come un uomo e una donna innamorati di quel presente così strano, accogliente e alla ricerca di calore umano sarebbe stato il preludio ad un grande e sconfinato amore, di quelli che avvampano all’improvviso, travolgendo tutto e tutti.
E come tutti i grandi amori, quelli da film e con la A maiuscola, all’alba tutto era destinato a finire di già, nell’incedere dei suoi bellissimi racconti che l’avevano portata in Messico alla ricerca della sua felicità gli anni prima. Le nostre fughe da quei passati alle volte troppo difficili ci univano ulteriormente nel capire che lì, noi, eravamo davvero belli, ma non era semplicemente il posto giusto, o il momento giusto. Forse, dico forse, di giusto c'eravamo proprio noi.
Nei giorni seguenti, ritrovarci come una bellissima coppia di bambini felici e adulti che stavano bene insieme come pane e marmellata, a tratti, portò a pensare entrambi che forse quello poteva essere l’inizio di una grande festa. Ma Alice sapeva benissimo come me che tutto sarebbe finito da lì a poco, e prima di subito capimmo entrambi che era semplicemente troppo magico per durare.
Lei se ne andò una mattina, in silenzio, per tornare al suo Messico, sapendo con me che lo avrebbe fatto, dopo essere stati insieme a casa mia ancora per una notte. Lasciò tutto in ordine, uscendosene in punta di piedi come era rientrata per un curioso caso del destino. Quando tornai, lo sapevo, lei non c’era più.
Ma trovai un pacchetto. Con una sua lettera.
“Ciao Francesco,
Penso sia giusto, che dopo tutti questi anni, questo regalo tu debba scartarlo. Ma al di là che sia stato con me tutto questo tempo, voglio che tu sappia che volevo esserci, alla tua festa di molto tempo fa. Anche io avrei voluto giocare con te, quando ci guardavamo attraverso la rete del giardino, e quel giorno mi ero vestita con un bellissimo vestito per essere da te. Era a pois, come quello di cui mi hai raccontato la prima sera che ci siamo reincontrati qualche giorno fa.
Quello che tu non sai è che mio fratello, ennesimo frutto caduto dall’albero sbagliato, quel giorno mi ha detto che ero ridicola, e lo stesso ha fatto mia madre, ridendo di me, quando mi ha visto. E se per te invitarmi alla tua festa è stata una enorme prova di coraggio, io la mia non sono riuscita a superarla. E anche se in vita mia ho pianto tanto, quella è stata una delle volte peggiori. Alle volte vorrei poter tornare indietro per recuperare tutto. Perché solo oggi, qui, mentre ti scrivo, io capisco cosa ho perso tutto questo tempo.
Scusami per il tempo che abbiamo perso… grazie per il tempo che ci siamo dati,
Ti amo,
Alice”
Era davvero stata una grande festa, la nostra. La più grande festa mai avvenuta.
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